Riflessioni sulla sentenza del Consiglio di Stato del 20 Gennaio 2015

La prima cosa che mi viene in mente è che quella del 20 gennaio 2015 è la terza sentenza che ci dà ragione, non un fatto isolato, l’errore di un giudice. LA TERZA, e l’unica che abbiamo avuto contro è stata nella forma e non nel merito.
Per tre volte i giudici, I GIUDICI, hanno detto che i nostri dubbi e perplessità sulla documentazione a favore della concessione delle autorizzazioni per l’Inceneritore di Scarlino erano plausibili e li hanno fatti propri.
Sentire oggi l’ex presidente della provincia difendere l’operato amministrativo della provincia quando tre sentenze lo hanno bocciato nel merito, giudicandolo incompleto, carente, elusivo, abusivo suscita indignazione.

giudice

Tre sentenze a cui, è bene ricordarlo, si aggiunge quella della Commissione di Inchiesta Pubblica Provinciale, anche quella impietosa sull’operato della Provincia.
Perciò pubblico questa nota per elencare sinteticamente, a futura memoria, le tappe di questo battaglia, per farle conoscere a chi voglia informarsi in maniera puntuale sui fatti, sui documenti e non sulle fantasticherie… con un’attenzione dovuta all’ultima sentenza che spero ponga fine a questa storia e ne apra un’altra più rispettosa nella tutela della salute, dell’ambiente e dell’economia locale.

Gennaio 2010
La Commissione d’Inchiesta Pubblica Provinciale boccia la VIA
La VIA rilasciata dalla giunta Scheggi è un’insieme di abusi, illegittimità, carenze e falsità, tali e talmente gravi che la Commissione d’Inchiesta voluta dalla Provincia, non può far altro che redigere un documento che non lascia adito a dubbi, perplessità od interpretazioni : “La VIA non andava concessa e va ritirata in autotutela”

Novembre 2011.
Il TAR dichiara illegittime VIA ed AIA.
I giudici del TAR Toscana accolgono il ricorso e sentenziano che: la VIA e l’AIA rilasciate dalla Provincia all’inceneritore di Scarlino sono illegittime e da annullare.
Per la Provincia di Grosseto ci sono parole dure e gravi, perché: “Ha rilasciato l’autorizzazione in assenza di tutti gli elementi necessari per escludere negative ricadute sulla salute umana e sull’ambiente”. Una stroncatura a 360 gradi nel merito, non nella forma burocratica, come si tenta di far credere all’opinione pubblica.
La VIA rilasciata è risultata “sfornita dei requisiti di completezza” e va respinta.

10 gennaio 2012.
Il Consiglio di Stato boccia la richiesta di sospensiva.
I cinque giudici della quinta sezione del Consiglio di Stato, in seduta plenaria, bocciano la richiesta di sospensiva della sentenza del TAR (accolta a dicembre dal giudice monocratico): l’inceneritore deve chiudere! Si applica correttamente quel principio di precauzione (per la salute pubblica) che dovrebbe ispirare l’azione delle amministrazioni. L’inceneritore chiude aspettando la sentenza definitiva del Consiglio di Stato.

17 ottobre 2012.
Il Consiglio di Stato boccia definitivamente la VIA.
Il Consiglio di Stato emette la sua sentenza favorevole ai denuncianti confermando il giudizio del TAR e l’illegittimità delle autorizzazioni rilasciate dalla Provincia di GR all’Inceneritore. L’inceneritore deve chiudere.

18 ottobre 2012.
La Provincia di Grosseto concede una nuova VIA.
Il giorno dopo la bocciatura, a sentenza ancora fresca d’inchiostro, la Provincia di GR rilascia una nuova autorizzazione, concedendo una nuova AIA/VIA, identica, nella sostanza, a quella bocciata. Scandalosamente la Provincia riconferma ciò che è stato appena bocciato dal supremo organo di giurisdizione amministrativa.

Ottobre 2013.
Il TAR giudica irricevibili i ricorsi contro la nuova VIA.
Il TAR respinge i ricorsi presentati, ma non nel merito, bensì per un inghippo tecnico legale: un cambiamento di partita IVA da parte di SE intercorso poco prima della presentazione dei ricorsi stessi. La sentenza dichiara, infatti, improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (sic!) perché, a dire del Giudice, si doveva impugnare anche la voltura dell’autorizzazione rilasciata alla nuova (e sempre uguale) Scarlino Energia.”
Cioè l’inceneritore è sempre lì, i suoi camini sono sempre gli stessi, la diossina, nanopolveri e inquinanti vari idem, ma è cambiata la PARTITA IVA e dunque quel soggetto (sempre lui fisicamente) NON è più denunciabile.

20 gennaio 2015
Il Consiglio di Stato dichiara illegittime le nuove AIA e VIA concesse dalla Provincia.
Anche qui, come nel novembre 2011 (TAR), ci sono parole dure e sferzanti sull’operato della provincia di GR che
NON ha convenientemente disaminate lo stato di salute delle popolazioni coinvolte e le condizioni dei corpi idrici presenti nell’area interessata dallo stabilimenti
NON ha valutato e considerato adeguatamente, in sede di rilascio dell’A.I.A., il livello di esposizione delle popolazioni interessate agli agenti inquinanti
NON ha eseguito, come doveva, una specifica attività istruttoria, in ordine agli effettivi agenti inquinanti già presenti e alla potenziale incidenza che su di essi si sarebbe potuta riscontrare, a seguito dello svolgimento dell’attività dell’Inceneritore, aggravando così la situazione sanitaria ed ambientale.
• Che ha rilasciato l’autorizzazione nonostante l’assenza di un previo e puntuale studio epidemiologico dell’area interessata dalla realizzazione dell’impianto. Studio sempre richiesto dagli appellanti ma mai eseguito.
“Da tutto ciò consegue pertanto che, essendo primarie le esigenze di tutela della salute ai sensi dell’art. 32 Cost. rispetto alle pur rilevanti esigenze di pubblico interesse soddisfatte dall’impianto in questione, il rilascio dell’A.I.A. si debba conseguire soltanto all’esito di un’indagine epidemiologica sulla popolazione dell’area interessata che deve essere condotta su dati più recenti e ad esclusiva cura degli organismi pubblici a ciò competenti.”

“Anche tutta l’istruttoria relativa alle condizioni del Canale Solmine va rifatta e (deve essere) considerata inadeguata stante la rilevata concentrazione ab origine di PCDD e PCDF….non ché le parimenti rilevate concentrazioni di idrocarburi policiclici aromatici in misura comunque superiori a quelle consentite. C’è, cioè, la “la necessità del rifacimento dell’istruttoria relativa alle condizioni del corpo idrico medesimo, dovendo anche in tal caso dal fondamentale diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. discendere un’azione amministrativa che determini il rilascio dell’A.I.A. solo in condizioni che ab origine rigorosamente si accertino come prive di qualsivoglia pericolo per la salute umana,” ovvero non ulteriormente peggiorabili per effetto dell’impianto progettato.

La citazione per ben due volte, e nelle “prescrizioni”, dell’art.32 della Costituzione (La Repubblica tutela la salute come fondamentale dirittodell’individuo e interesse della collettività….) è l’applicazione di quel Principio di Precauzione che, tante volte invocato, la Provincia e gli enti preposti NON hanno mai applicato correttamente, barricandosi dietro statistica che è altra cosa rispetto all’epidemiologia.

Il Principio di Precauzione esprime un’esigenza tipicamente cautelare e consiste nella necessità di perseguire gli obiettivi della tutela della salute“anche quando manchi l’evidenza scientifica di un danno incombente”
Vale a dire quando non sussista interamente l’evidenza di un collegamento causale tra una situazione potenzialmente dannosa e le conseguenze lesive sulla salute, o quando la conoscenza scientifica non sia comunque completa”.

Ecco, questa è la storia.
Penso che forse l’ex presidente dell’inutile Provincia di Grosseto, dopo questi schiaffi, avrebbe fatto meglio a chiudersi in un dignitoso silenzio invece di arrischiarsi in dichiarazioni senza riscontri, poco idonee e rispettose dell’operato dei giudici, sconcertanti specie da parte di una persona che vuole andare addirittura in Regione.
Di danni ne ha fatti già troppi…resti a lavoro.

Appello ad utilizzare il numero Arpat per segnalazioni

Carissimi, ecco larticolo della Nazione che parla dell’ARPAT che dà ragione ai cittadini riguardo tutte le segnalazioni fatte nei confronti degli impianti di Gr, biogas, ma soprattutto le Strillaie per le emissioni fortemente odorigene, maleodoranti e irritanti al punto che qualcuno si è sentito anche male!.
E’ fondamentale segnalare tutte le volte che ci si trova davanti a situazioni di questo genere, la legge dice che non si può peggiorare la qualità dell’aria!!!
Tutte le volte che un cittadino segnala una situazione L’ARPAT è obbligata a prenderne nota e alla fine, se le segnalazioni persistono e diventano tante , non possono più far finta di niente e sono obbligati a intervenire!
Quindi, utilizziamo quei pochi diritti che abbiamo, vi invito a fare il NUMERO VERDE DELL’ARPAT REGIONALE(quello che è stato utilizzato in questo caso) 800800400 tutte le volte e ribadisco TUTTE che  passate vicino ad un impianto che emette “puzza”.
Sono autorizzati a lavorare, non a inquinare!!!
Grazie ciao Daniela
Ecco l’articolo:
Nazione

Il Consiglio di stato chiude l’inceneritore di Scarlino

Era ora!!! Il Consiglio di stato chiude l’inceneritori di Scarlino.

Una grande vittoria per gli ambientalisti, i giudici affermano che la Provincia di Grosseto non ha valutato correttamente l’impatto dell’inceneritore sulla salute dei cittadini.

Insieme

Ecco il link all’articolo di Francesca Ferri apparso sul Tirreno:

http://iltirreno.gelocal.it/grosseto/cronaca/2015/01/20/news/consiglio-di-stato-stop-all-inceneritore-di-scarlino-1.10704269

 

I NEOLOGISMI PER REALTA’ SCOMODE

I neologismi per realtà scomode
per la serie: come prendere in giro la gente e vivere felici!
Che l’Italia sia la patria di artisti e genii è noto a tutti nel mondo, e quindi non c’è da stupirsi che la fantasia italiana si esprima anche nel linguaggio e la nomenclatura.
Tuttavia a volte si resta perplessi di fronte a veri e propri sforzi per attribuire un nome che non associ direttamente alla realtà dei fatti.
Fin troppo facile riferirsi ai vari “non vedente”, “non udente”, “diversamente abile”, etc. per attenuare in qualche modo delle invalidità evidenti. Molto meno scontata la manipolazione del linguaggio per distogliere l’attenzione da aspetti gestionali scomodi.
Così quando si affronta l’argomento “rifiuti”, chissà perché, non si dice pane al pane e vino al vino. Eppure siamo adulti, grandi e vaccinati, e non è moralmente condannato neppure dalla più conservatrice religione. In fin dei conti si tratta di scarti di cucina, cartacce, imballaggi e materiale in disuso.
Tuttavia già dagli inizi degli anni 90 si tendeva ad evitare il termine “inceneritore”, forse in quanto attirava l’attenzione sulla combustione della materia, e dagli inizi del secondo millennnio si è incominciato ad usare il termine “termovalorizzatore” in sostituzione del precedente, per definire la stessa funzione impiantistica.
Ma in realtà sappiamo tutti che i rifiuti non vengono affatto valorizzati, semmai ridotti in cenere inquinante, ed emessa una enorme quantità di fumi contenenti sostanze cancerogene e teratogene; quindi si è realizzato un pesante degrado da materia riutilizzabile in vario modo, ad altra da gestire con estrema attenzione e a rischio per la salute ed ambiente. Alla faccia della valorizzazione!
Questa nuova nomenclatura è stata da più parti contestata e sbeffeggiata, ad esempio come “cancrovalorizzatori”, e pertanto si è tentato nuovamente di evitarla, per non risultare al centro dell’attenzione. E’ nato quindi il neologismo “cogeneratore”, talvolta seguito da “biomassa”, forse nel tentativo di omologare tale impiantistica a qualcosa di biologico, ossia ecocompatibile, mentre in pratica non vi è nulla di diverso dai precedenti impianti, soprattutto in presenza della normativa nazionale che consente di incenerire fino al 49% di rifiuti in questi impianti.
Ovviamente anche in questo caso le critiche alla tecnologia sono piovute da più parti, dagli oncologi, ai salutisti, dalla UE che raccomanda questa soluzione come ultimo gradino della gestione dei rifiuti, alla popolazione che assiste impotente all’escalation delle malattie respiratorie e cardiache, oltre a tumori anche in giovane età.
Quindi incomincia ad essere scomodo anche “cogeneratore”, non più trendy, meglio coniare un nuovo vocabolo che distolga l’attenzione da ciò che si fa.
E’ di questi giorni che il Comune di Brescia definisce il suo famigerato inceneritore come “termoutilizzatore“. Evviva! Un bel passo avanti per la salute di tutti! Ora sì che viviamo tranquilli e i nostri sonni non saranno più devastati da incubi.
Continuiamo così, a prenderci in giro da soli, che l’Italia farà grandi progressi in campo sanitario.
Sennuccio del Bene

INCENERITORI, LEGGENDE E VERITA’

Leggere di nuovo: “Inceneritori, leggende e scientifiche verità”

 
Inceneritori, leggende e scientifiche verità
di Antonietta Gatti
* fisico e bioingegnere, Gatti è un International Fellow della Unione delle Società dei Biomateriali e di Ingegneria. Ha coordinato Progetti Europei e Nazionali di Nanotossicologia, di Nanopatologia e di Nanoecotossicologia e si occupa dell’impatto di polveri submicroniche sulla salute umana, animale e quella del mondo vegetale.
 

Purché brucino, gli inceneritori accolgono rifiuti di ogni tipo, urbani o Industriali che siano. Chi ha qualche pur vaga cognizione scientifica sa che la combustione non elimina i rifiuti, però ne riduce il volume apparente trasformandoli in qualcosa d’altro. Questo lo dice una legge della Fisica che, per quanto ci si provi, nessun politico può abrogare, ed agire in deroga equivale ad agire o da sciocco o da criminale. Il Principio di Conservazione della Massa di Lavoisier (1786) recita che “all’interno di un sistema chiuso, in una reazione chimica la massa dei reagenti è esattamente uguale alla massa dei prodotti.” Questo significa che il fuoco non distrugge affatto il rifiuto ma la temperatura di combustione ne ossida le sostanze che lo compongono e, semplificando un po’ il concetto, fa cambiare aspetto a molti composti.
Per chiarire meglio il concetto, se si mettono 100 kg di rifiuti, 100 kg sarà la somma dei composti che risultano da quella combustione suddivisi in ceneri, polveri e gas. Per essere aderenti alla realtà, però, ciò che risulta alla fine di un incenerimento risulta superiore al peso del rifiuto trattato, dal momento che la combustione pretende l’ingresso di ossigeno nel processo, e l’ossigeno ha una massa. Poi, per diverse ragioni, nel processo industriale che avviene in un inceneritore si devono aggiungere diverse sostanze: metano, carbone, soda, calce, ecc. Il risultato è che la massa di ciò che esce è un po’ più che doppia di ciò che si sarebbe gradito “far sparire”. Ricordo che in un impianto d’incenerimento buona parte della struttura è dedicata alla filtrazione di ciò che viene aerosolizzato, ma i risultati di quella filtrazione sono molto lontani dall’essere soddisfacenti.Ora, non pochi cittadini che vivono attorno ad un inceneritore si sono raccolti in associazioni per rivendicare il loro diritto ad avere un’aria pulita e, soprattutto, per rivendicare il diritto alla salute. Sì perché da Nord a Sud tutti lamentano un aumento di patologie che i gestori degli inceneritori ed i soci della multiutility del caso, tradizionalmente i politici, negano con tutte le loro forze. La scusa è sempre quella offerta dagli studi epidemiologici confezionati da “scienziati” che non hanno evidenziato nulla. Peccato che questi studi siano sponsorizzati proprio da chi ha interesse a mostrare risultati non proprio obiettivi e che nella quasi totalità dei casi gli studi siano condotti in maniera a dir poco opinabile. I dati che escono da quegli studi sono prodotti secondo regole apparentemente scientifiche, ma con una scientificità applicata ad arte in modo da non far risultare niente di anomalo, di preoccupante, soprattutto di fastidioso per chi quegli studi ha commissionato.Basti vedere come sono scelti i territori da investigare, come le patologie, come i tempi d’incubazione. Il che equivale a mettere la testa sotto la sabbia o, per essere in tema con ciò che esce dagli impianti, equivale a nascondere la polvere sotto il tappeto. Di fatto questi personaggi pensano che siamo tutti imbecilli ed ignoranti. Però costoro non hanno fatto i conti con la popolazione che si ammala e che, toccata sul vivo, piano piano si accorge di essere presa in giro e comincia, nella più riduttiva delle ipotesi, a porsi delle domande. Il passo seguente e certo meno riduttivo è la ribellione.Un esempio di presa per i fondelli si sta attuando a casa mia, intorno a Modena. In risposta a ripetute richieste dei cittadini è partita l’idea di un nuovo monitoraggio della popolazione attorno all’inceneritore, un impianto che prima è stato duplicato, poi triplicato, poi, a ridosso di Ferragosto di quest’anno, è diventato per incanto inceneritore nazionale, vale a dire che può – potenza ed efficienza della burocrazia agostana – bruciare rifiuti di tutta Italia, per tossici che siano. Certo un bel primato e certo un altro fiume di quattrini nelle tasche di qualcuno.

Ma la salute prima di tutto e, allora, via al monitoraggio. Al centro dell’attenzione dei controllori ci saranno le urine e le unghie dei piedi di chi abita in zona inceneritore, certi di accontentare così i cittadini e altrettanto certi di cancellare i loro timori. A questo punto i casi sono due: o chi ha proposto quella roba ci prende per dei cretini o, in alternativa, chi ha proposto quella roba è un incompetente.
Personalmente propendo per la seconda ipotesi, e lo faccio per i motivi che elenco. Da un camino d’inceneritore escono gas e polveri ai quali gli abitanti della zona sono per forza di cose esposti. Le polveri sono tutte dannose, ma lo sono più o meno a seconda della loro morfologia, della loro dimensione e della loro composizione chimica. Purtroppo i gestori dell’inceneritore non analizzano mai in modo esauriente i rifiuti bruciati né ciò che esce a falò fatto, limitandosi a “controllare” i pochissimi parametri di legge e trascurandone migliaia d’altri, perché migliaia, nella più prudente delle ipotesi, nei fatti sono. Meno che mai i controlli si spingono a caratterizzare le polveri per forma e composizione, fermandosi, nella migliore delle ipotesi, a stabilire quante ce ne sono, non per numero ma grossolanamente per massa, con un diametro uguale o inferiore a 10 micron e quante sotto i 2 micron e mezzo. Quanto alle ricadute, si tracciano dei cerchi concentrici con raggi diversi, in barba al comportamento reale delle polveri che, giusto per semplificare, si spostano secondo la direzione del vento. Comunque sia, chi è esposto agli effluenti dell’inceneritore respirandoli e, magari, ingerendoli con la frutta e la verdura su cui quella roba ricade, lo è per tutti i giorni dell’anno con un effetto che è quello della goccia che scava la pietra.Da poco più di un mese lo IARC, l’ente dell’OMS che valuta le sostanze cancerogene, ha reso pubblico un rapporto con cui informa che le polveri sono ufficialmente un cancerogeno di Classe I, la categoria dove stanno le sostanze più aggressive. Tradotto in pratica, l’esposizione, ancor di più se continua, può determinare l’insorgere di forme di cancro. È poi noto dalla letteratura medica che, restando alle polveri, la frazione dimensionale sotto il micron ha il potere di superare la barriera polmonare e di finire nel sangue. Da qui è conseguente poter raggiungere tutti gli organi interni ed essere captate anche selettivamente per affinità chimica dai diversi tessuti. L’accumulo può far scatenare una reattività biologica del tessuto o dell’organo innescando, quindi, una patologia. In letteratura non è descritto nessun meccanismo di eliminazione di queste polveri e, quindi, è fantasia pura pensare di trovarle nelle urine come vorrebbero farci credere. Il pensare, poi, di ritrovarle nelle unghie dei piedi è una specie di beffarda fantabiologia. A giudicare da questo parrebbe che gli “scienziati” cooptati per il monitoraggio che hanno partorito questa pensata non conoscano nemmeno la differenza fra atomo, ione, molecola, composto chimico e particella. Senza entrare in particolari che risulterebbero pedanti, basti sapere che le particelle non vanno né nelle urine né nelle unghie. Ma nelle urine e nelle unghie non va nemmeno una miriade d’inquinanti che l’inceneritore produce con generosità, le diossine in primis. Dunque, se urine e unghie sono i testimoni, non ci sono preoccupazioni e, chissà, forse sapremo in via ufficiale che, come già certificò qualcuno, dall’inceneritore esce aria più pulita di quella che è entrata.
Il risultato sarà il solito: questi signori avranno speso un bel po’ di quattrini di Pantalone per poter raccontare che non c’è nessuna evidenza di correlazione fra l’incenerimento e le patologie cancerose della popolazione. Tutte le altre patologie da inquinamento non sono nemmeno contemplate e, almeno, non ci sarà bisogno di raccontare altre frottole. Intanto noi saremo di nuovo cornuti e mazziati, però, almeno, avremo la soddisfazione di aver ingrassato ancora qualche conto in banca.

Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse di  Parma – GCR

INQUINAMNETO ATMOSFERICO COME CAUSA PRIMARIA DI MORTALITA’

Il 17 ottobre scorso lo IARC (l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) ha classificato l’inquinamento atmosferico – nel suo insieme – quale cancerogeno per l’uomo (Gruppo 1) ed ha classificato separatamente fra i cancerogeni per l’uomo anche il particolato, uno dei principali componenti dell’inquinamento atmosferico. Inoltre nel comunicato stampa diffuso ha definito: “L’aria che respiriamo è oggi inquinata da una mistura di sostanze cancerogene ed è il più diffuso cancerogeno ambientale, oltre che una causa primaria di tumore”;

 ·         dall’ultimo rapporto shock, che arriva dall’Europa sull’inquinamento atmosferico come causa primaria di mortalità risulta che per ogni incremento di 5 ug/m3 di polveri ultrafini nell’aria corrisponde un aumento del 7% della mortalità generale.

 Lo studio Escape, questo il suo nome, (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects), pubblicato sulla rivista Lancet, condotto per 20 anni su 360 mila residenti in grandi città di 13 paesi europei, ha evidenziato, in modo preoccupante, che il risultato è valido a qualsiasi livello di esposizione, per quanto basso sia; quindi anche per le località che si trovano ben al di sotto dei limiti di legge dettati dalla direttiva europea (per il PM 2,5 è 25 µg/m³);

 

Tumori al polmone legame con l’inquinamento

Tumori al polmone, prima conferma
del legame diretto con l’inquinamento
Su Lancet l’esito della maxiricerca condotta su 300mila persone di 9 paesi europei, seguite per tredici anni di fila: la presenza delle polveri sottili tossiche nell’aria delle città fa aumentare drammaticamente il rischio di cancro polmonare, soprattutto per quanto riguarda l’adenocarcinoma. Per l’Italia sono stati monitorati cittadini di Torino, Varese e Roma e la situazione è risultata tra le peggiori d’Europa
ROMA – Arriva la prima conferma della stretta relazione fra inquinamento atmosferico e tumori del polmone. Il risultato si deve a una ricerca europea pubblicata sulla rivista Lancet Oncology alla quale partecipa anche l’Italia con un gruppo di ricerca dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, guidato da Vittorio Krogh.

Il tumore del polmone rappresenta la prima causa di morte nei Paesi industrializzati. Solo in Italia nel 2010 si sono registrati 31.051 nuovi casi. La ricerca mostra che più alta è la concentrazione di inquinanti nell’aria maggiore è il rischio di sviluppare un tumore al polmone. Inoltre dalla misurazione delle polveri sottili, l’Italia è risultata essere tra i paesi europei più inquinati.

Svolto su oltre 300.000 persone residenti in 9 paesi europei, lo studio è il primo lavoro sulla relazione tra inquinamento atmosferico e tumori al polmone che interessa un numero così elevato di persone, sottolinea l’Istituto nazionale dei tumori, con un’area geografica di tale estensione e un rigoroso metodo per la misurazione dell’inquinamento. E’ stato misurato in particolare l’inquinamento dovuto alle polveri sottili tossiche presenti nell’aria (particolato Pm 10 e Pm 2,5) dovute in gran parte alle emissioni di motori a scoppio, impianti di riscaldamento, attività industriali.

Lo studio ha permesso di concludere che, per ogni incremento di 10 microgrammi di Pm 10 per metro cubo presenti nell’aria, il rischio di tumore al polmone aumenta di circa il 22%. Tale percentuale sale al 51% per una particolare tipologia di tumore, l’adenocarcinoma, l’unico tumore che si sviluppa in un significativo numero di non fumatori. Inoltre si è visto che se nell’arco del periodo di osservazione un individuo non si è mai spostato dal luogo di residenza iniziale, dove si è registrato l’elevato tasso di inquinamento, il rischio di tumore al polmone raddoppia e triplica quello di adenocarcinoma.

Le attuali normative della Comunità europea in vigore dal 2010 stabiliscono che il particolato presente nell’aria deve mantenersi al di sotto dei 40 microgrammi per metro cubo per i Pm 10 e al di sotto dei 20 microgrammi per i Pm 2,5. Questo studio, tuttavia, sottolinea l’Istituto nazionale dei tumori, dimostra che anche rimanendo al di sotto di questi limiti, non si esclude del tutto il rischio di tumore al polmone, essendo l’effetto presente anche al di sotto di tali valori.

Il lavoro ha riguardato persone di età compresa tra i 43 e i 73 anni, uomini

e donne provenienti da: Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Regno Unito, Austria, Spagna, Grecia e Italia. In Italia le città interessate dal monitoraggio sono state Torino, Roma, Varese. Le persone sono state reclutate negli anni Novanta e sono state osservate per un periodo di circa 13 anni successivi al reclutamento, registrando per ciascuno gli spostamenti dal luogo di residenza iniziale. Del campione monitorato hanno sviluppato un cancro al polmone 2.095 individui. (Ansa)

Rifiuti, le regioni europee chiedono all’Ue obiettivi ambiziosi

Città e regioni d’Europa sollecitano la Commissione europea ad accogliere le loro raccomandazioni [12 luglio 2013]

Visto che la corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti rappresenta una delle maggiori sfide a cui devono far fronte gli enti locali e regionali in Europa, il Comitato delle regioni (Cdr)è stato invitato a preparare la sua posizione sugli obiettivi per l’Ue sui rifiuti prima che la Commissione nel 2014 presenti la comunicazione sull’argomento. Il Cdr ha stabilito obiettivi ambiziosi, sottolineando «L’importante contributo fornito dalla gestione di tali rifiuti alla creazione di un’Europa più competitiva ed efficiente nell’impiego delle risorse». Città e regioni d’Europa sollecitano così la Commissione europea ad accogliere le loro raccomandazioni. Nel parere presentato dal democristiano Michel Lebrun, della comunità francese del Belgio, si sostiene che, «Per poter essere coronati da successo, gli obiettivi devono tener conto delle differenze riscontrabili tra uno Stato membro o un ente locale e l’altro in termini di progressi compiuti e di risorse disponibili. Il relatore Lebrun, il cui parere è stato adottato a stragrande maggioranza nella sessione plenaria di luglio del Cdr, ha sottolineato che «Ogni anno l’Unione europea getta via 3 miliardi di tonnellate di rifiuti, che corrispondono a 6 tonnellate di rifiuti solidi per persona, e questo non soltanto arreca danno all’ambiente, ma ha anche un impatto diretto sulla salute umana. Con la crisi economica ancora in atto, occorre garantire che tutte le politiche contribuiscano allo sviluppo economico.

La gestione dei rifiuti costituisce una priorità che può essere un fattore di competitività, avendo l’obiettivo primario di scindere la produzione dei rifiuti dalla crescita economica. Mi auguro che la futura direttiva in materia di gestione dei rifiuti consentirà ai paesi più avanzati di muoversi verso una società a rifiuti zero e incoraggerà gli altri a compiere i passi necessari per recuperare il ritardo». Un’operazione dove occorre molta intelligenza, distinguendo fra l’efficacia di uno slogan – “rifiuti zero”, appunto – che in alcuni casi può occultare la presenza dei processi industriali sottesi alla manifattura del riciclo, e l’indubbia utilità di una tendenza che può invece favorire – se ben indirizzata – i processi industriali di riciclo senza nasconderli, ma anzi disvelandoli. Nel parere “Il riesame degli obiettivi chiave dell’Unione europea in materia di rifiuti”, il Cdr afferma che «Gli obiettivi dell’Ue devono tener conto delle ragioni alla base del non rispetto della regolamentazione, e devono essere proporzionati ai diversi livelli – riscontrabili da un ente locale all’altro – in termini di servizi, infrastrutture e investimenti finanziari destinati alla gestione dei rifiuti». Il Cdr chiede inoltre «Una normalizzazione delle misure e delle definizioni riguardanti i rifiuti in tutta l’Ue che consentirà di effettuare confronti chiari tra gli Stati membri e le regioni dell’Ue, permettendo di valutare i progressi compiuti e di garantire la coerenza. Andranno anche conclusi accordi specifici con ciascuno Stato membro ed ente locale, subordinando la concessione di sovvenzioni europee alla convalida dei piani di gestione presentati». Nel suo parere, Lebrun stabilisce anche obiettivi chiari in materia di gestione dei rifiuti (concentrandosi però solo sugli urbani, che sono la netta minoranza del totale) a livello dell’Ue, proponendo di: «Ridurre, nella prospettiva 2020, la quantità dei rifiuti urbani pro capite del 10% rispetto ai livelli del 2010; Esplorare la possibilità di portare al 70 %, entro il 2025, l’obiettivo in materia di riciclaggio dei rifiuti solidi urbani; Garantire, entro il 2020, che il 100 % dei rifiuti sia oggetto di raccolta differenziata; Considerare la possibilità di portare al 70 % gli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio di plastica e all’80 % quelli degli imballaggi di vetro, metallo, carta, cartone e legno; Proibire entro il 2020 lo smaltimento in discarica di tutti i rifiuti biodegradabili; Vietare l’incenerimento dei rifiuti riciclabili e organici entro il 2020, escludendo gli impianti che raggiungono alti livelli di efficienza attraverso la produzione di calore o la produzione combinata di calore ed elettricità, tenuto conto delle caratteristiche fisico-chimiche dei rifiuti». Secondo le Regioni europee «A sostegno degli enti locali e regionali, sarebbe opportuno stabilire obiettivi a medio termine e intermedi. Una maggiore attenzione al principio “chi inquina paga” ridurrebbe gli oneri a carico di amministrazioni locali spesso ai limiti delle loro capacità, e una migliore cooperazione potrebbe contribuire ad ottimizzare le infrastrutture e le risorse.

A questo proposito il Cdr propone di creare una piattaforma europea di informazione che sostenga questo processo e consenta altresì uno scambio di informazioni e lo sviluppo delle migliori pratiche su tutto il territorio dell’Ue»

Forlì: obiettivo spegnimento inceneritore

Gestione dei rifiuti: Forlì capofila in Romagna fino allo spegnimento dell’inceneritore
L’amministrazione comunale di Forlì esprime grande apprezzamento e condivisione per la scelta del comprensorio cesenate di fissare obiettivi ambiziosi e strumenti per la gestione sostenibile dei rifiuti. Tali obiettivi sono pienamente coerenti con il percorso delineato fin dal suo insediamento e che porterà alla realizzazione della società post-incenerimento. Il territorio forlivese, come rappresentato in tutti gli incontri istituzionali a livello regionale e di Area Vasta romagnola, è pronto a sottoscrivere questi impegni e ritiene che siano un grande sostegno alla proposta recentemente fatta alla Regione, all’interno del redigendo piano regionale gestione rifiuti, di ridurre la portata dell’inceneritore di via Grigioni a 70.000 tonn/anno dal 2016, e al suo successivo spegnimento.
Il raggiungimento dell’obiettivo rifiuti zero (raccolta differenziata al 100%) al 2030 estende gli obiettivi della proposta di Forlì, Parma, Reggio Emilia e Piacenza, che prevede un inceneritore in tutta la regione nel 2020 a uno scenario che prevede la dismissione di tutti gli inceneritori nel 2030. Un obiettivo importante e condiviso, cui si dovranno affiancare strumenti amministrativi per regolare la transizione e la sostenibilità economica delle aziende che gestiscono gli impianti di smaltimento regionali.Descrizione: http://adv.strategy.it/www/delivery/lg.php?bannerid=616&campaignid=247&zoneid=274&loc=1&referer=http%3A%2F%2Fwww.forlitoday.it%2Fcronaca%2Fgestione-rifiuti-romagna-spegnimento-dell-inceneritore.html&cb=eaf3646792
Le modalità di affidamento dei servizi del comprensorio cesenate sono diverse da quelle assunte dai consigli comunali di Forlì e del suo comprensorio, ma rappresentano solo una minima porzione del ciclo integrato dei rifiuti e una scelta amministrativa, che non incide sulla scelta strategica: i rifiuti diventano una risorsa per lo sviluppo sostenibile dell’area romagnola.